Ferrari
Ferrari

Negli ultimi mesi, nel panorama calcistico nazionale e internazionale, si è registrato un dato che sta facendo discutere allenatori, addetti ai lavori e tifosi: gli attaccanti segnano sempre meno. Le punte, da sempre fulcro dell’immaginario collettivo legato al gol, stanno attraversando un periodo di sorprendente sterilità offensiva. Ma quali sono le cause di questo fenomeno? E quali conseguenze sta avendo sul gioco delle squadre?

Difese più organizzate e pressing alto

Una delle ragioni principali è l’evoluzione difensiva degli ultimi anni. Le squadre moderne, grazie a un’organizzazione sempre più sofisticata, concedono meno spazi tra le linee. Il pressing alto coordina reparti interi, costringendo le punta a ricevere palla spalle alla porta e in zone poco pericolose. L’attaccante classico, quello d’area, trova oggi meno libertà di movimento e viene spesso neutralizzato già nella fase di costruzione avversaria.

Ruoli ibridi e maggiori responsabilità tattiche

Oggi il centravanti non è più solo un finalizzatore: deve partecipare alla manovra, fare da sponda, attaccare la profondità, pressare il portatore. Questo sovraccarico tattico riduce le energie – fisiche e mentali – disponibili per la finalizzazione. Molte squadre chiedono ai propri attaccanti di fare il “primo difensore”, con la conseguenza che arrivano in area meno lucidi.

Aumenta la produzione delle mezze punte

Un altro fattore è la ridefinizione degli equilibri offensivi. Con il diffondersi dei moduli che valorizzano trequartisti e ali, le responsabilità realizzative si sono distribuite. Gli esterni – liberi di accentrarsi o di inserirsi – spesso hanno più occasioni da gol dei centravanti, che diventano facilitatori del gioco, quasi registi offensivi.

Pochi rifornimenti e costruzione troppo prevedibile

Molti attaccanti lamentano una scarsa qualità delle palle giocabili. Le squadre che faticano nella costruzione rendono gli attaccanti spettatori poco coinvolti. Cross ridotti, verticalizzazioni rare e ritmi bassi fanno sì che le punte debbano spesso inventarsi da sole la giocata. E non tutti hanno l’estro o il fisico per farlo.

La pressione psicologica

Infine, non va sottovalutato l’aspetto mentale. La narrativa mediatica tende a giudicare un attaccante solo dai gol segnati, ignorando l’enorme mole di lavoro che svolge a tutto campo. La ricerca ossessiva del gol può trasformarsi in ansia da prestazione, generando un circolo vizioso difficile da spezzare.

Verso una nuova idea di attaccante?

Il calo realizzativo degli attaccanti non significa necessariamente un impoverimento del gioco. Potrebbe invece essere il sintomo di un’evoluzione tattica in cui il gol non è più responsabilità esclusiva dell’uomo d’area. Tuttavia, resta la nostalgia per quei bomber capaci di trasformare in rete qualsiasi pallone, anche il più sporco.

Per ora, la domanda rimane aperta: stiamo assistendo a una crisi passeggera o a un cambiamento strutturale del ruolo dell'attaccante? Quel che è certo è che le squadre, per vincere, dovranno ritrovare un equilibrio in cui le punte tornino protagoniste là dove conta davvero: in zona gol.