Salerno si risveglia sull’orlo del baratro, a novanta minuti dalla fine di un campionato che ha segnato uno dei momenti più cupi della sua storia calcistica. La Salernitana è a un passo dalla retrocessione in Lega Pro, e il silenzio che circonda questo dramma sportivo è il segnale più inquietante. Nessuna rivolta, nessun moto d’orgoglio, nessuna reazione all’altezza di una piazza che, fino a qualche tempo fa, si diceva "diversa".

Le responsabilità sono tante, e nessuno può sentirsi esente: dalla proprietà alla politica locale, fino a una parte della tifoseria che sembra aver perso quella rabbia positiva capace di cambiare le cose. L’attuale gestione societaria, che aveva ereditato una realtà sana e competitiva in Serie A, è riuscita nell’impresa di smantellarla pezzo dopo pezzo. Parole, conferenze stampa, slogan e promesse: tutto inutile davanti ai numeri, ai risultati e alle scelte discutibili.

L’amministratore delegato Milan, il presidente Danilo Iervolino e i dirigenti di riferimento hanno spesso descritto una situazione “monitorata”, sostenendo di aver ricevuto complimenti dalla Covisoc e di aver compreso gli errori commessi. Eppure, mentre si raccontavano giustificazioni, la realtà scivolava via tra campionati fallimentari e decisioni strategiche al limite dell’autolesionismo.

Le tensioni con le istituzioni locali, soprattutto sul fronte dello stadio e delle strutture, hanno finito per incrinare irrimediabilmente il rapporto tra club e città. I fischi indirizzati al sindaco durante l’inaugurazione di Piazza della Libertà sono stati, forse, l’inizio simbolico della fine. Da quel momento, qualcosa si è rotto, e il patron ha scelto la via del disimpegno, lasciando il timone in balia delle onde.

Salerno, intanto, ha assistito impassibile. Nessuna mobilitazione concreta, nessuna iniziativa forte per scuotere l’ambiente, come se la rassegnazione avesse preso il posto dell’appartenenza. Ieri, i tifosi della Sampdoria hanno dato una lezione a tutti, dimostrando come si possa ancora essere protagonisti fuori dal campo, esercitando una pressione costruttiva, una passione che fa la differenza.

Ora non è più tempo di processi sommari. I conti andavano fatti prima, con lucidità e onestà intellettuale. Quel “è finita” che oggi risuona tra le strade della città era già stato scritto nei fatti, ma pochi hanno avuto il coraggio di leggerlo in tempo.

La Salernitana può ancora risorgere. Ma per riuscirci servirà una bonifica totale, dentro e fuori dal campo. Serviranno volti nuovi, idee concrete, e soprattutto una città che riscopra il proprio orgoglio. Perché senza identità, anche la passione più forte rischia di diventare un ricordo sbiadito.