Otto anni. Tanto è passato da quel pomeriggio in cui la Salernitana trasformò il “Partenio-Lombardi” da inferno sportivo in paradiso granata. Avellino–Salernitana 2-3, 15 ottobre 2017: una partita che non è solo un risultato, ma un racconto di carattere, di nervi tesi, di polemiche roventi e di un gol all’ultimo respiro destinato a diventare icona popolare. Un tuffo nel passato per godere ancora.

Il primo tempo fu una corda tesa. L’Avellino si fece minaccioso all’11’, quando Rizzato trovò Castaldo in area: girata di prima intenzione, palla fuori. Al 20’ Castaldo svettò di testa, ma Radunović non si fece sorprendere. La risposta granata maturò al 37’: un sinistro pieno di Vitale su punizione costrinse Radu a volare per deviare in angolo. Zero gol, tante scintille: all’intervallo si andò sullo 0-0, con l’aria del derby che diventava elettricità statica.

La ripresa cambiò subito tono. Dopo appena due minuti, un colpo di testa ravvicinato di Krešić portò avanti i lupi. La Salernitana accusò il colpo e al 14’ arrivò il raddoppio: Laverone calciò dal limite, la deviazione rese imparabile il tiro per Radunović. Sotto di due, in un Partenio arroventato, la squadra di Alberto Bollini sembrò sul punto di scivolare definitivamente. Fu lì che il match cominciò a piegarsi in un’altra direzione: fuori un abulico Cicerelli, dentro Rosina, e l’inerzia cambiò impercettibilmente, poi sempre più chiaramente.

Al 28’ il lampo che riaprì tutto: Rodriguez, il più lesto nella mischia su azione d’angolo, trovò il 2-1. Da quel momento la Salernitana viaggiò a motore pieno. Al 32’ il neoentrato Bocalon si presentò a tu per tu con Radu, ma il portiere irpino respinse d’istinto. Due minuti dopo, ancora Radu disinnescò un destro a giro dai venti metri di Sprocati. L’impressione, nitida, era che il pari stesse arrivando: infatti al 40’ Sprocati strappò palla sulla trequarti, infilò il corridoio giusto e colpì con un diagonale preciso. 2-2, curva ospiti in delirio, partita totalmente riaperta.

Sarebbe potuto finire così. Ma i derby, quando entrano nel territorio del mito, sanno prendersi la scena fino all’ultimo secondo. In pieno recupero — 51’ della ripresa, il 96’ complessivo — l’azione si accese ancora da corner: pallone vagante ai diciotto metri, tocco pulito e chirurgico di Joseph Minala. Un colpo da biliardo sul palo lontano, Radu battuto, 2-3. Il Partenio ammutolito, gli ottocento tifosi granata nel settore ospiti in un’esplosione che ancora oggi risuona nella memoria. L’esultanza di Minala, le dita sulle labbra a zittire una tribuna che lo aveva bersagliato per 96 minuti, divenne l’istantanea simbolo di un giorno perfetto.

Quella vittoria, la seconda in quel campionato e la prima in trasferta, non rimase confinata ai novanta minuti. Fu un sisma emotivo e tecnico che propagò onde nelle settimane successive. Gli irpini, guidati allora da Walter Novellino, pagarono un contraccolpo pesante. Le polemiche si trascinarono oltre il triplice fischio: tabelloni pubblicitari granata giudicati offensivi dal club avellinese, strascichi disciplinari, un clima arroventato che toccò anche gare successive. A far da cornice, la parabola incrociata di protagonisti che il destino avrebbe poi messo dall’altra parte della barricata: Di Tacchio e Migliorini, con quest’ultimo reduce da una squalifica pesante per l’infuocato dopopartita.

Quel 15 ottobre produsse anche una coda pop: “San Minala” entrò nel vocabolario dei tifosi dell’ippocampo. Un anno dopo, il 15 ottobre 2018, i social granata furono un mosaico di video, foto, cori riadattati, magliette, adesivi, perfino contenuti ironici rimbalzati ovunque. Minala — allora fuori lista alla Lazio — salutò la ricorrenza con un augurio che divenne un rito; Bollini si prese una parentesi da commentatore in Rai; Sprocati imboccò la strada di Parma; Rodriguez iniziò il lungo recupero dal crociato rotto a Empoli; l’Avellino, travolto da irregolarità sulla fideiussione, ripartì dalla Serie D con una nuova società. I nomi passano, le emozioni no: quel piatto destro al 96’ rimase inciso nella memoria collettiva come un marchio a fuoco sportivo.

Da allora sono passati otto anni e il pallone ha continuato a rotolare cambiando molte cose: si sono alternati allenatori e giocatori, la Salernitana ha conosciuto la ribalta della Serie A e oggi riparte dalla Serie C, mentre l’Avellino milita in Serie B. L’adrenalina, però, è sempre la stessa: la speranza è di tornare il prima possibile a respirare l’aria del derby, con lo stesso brivido di allora.

Riguardata oggi, 15 ottobre 2025, quella partita è molto più di una rimonta. È una lezione di resilienza, una storia di destini che si intrecciano, il ritratto di una squadra che quando sembrava notte fonda trovò il coraggio di riaccendere la luce. È anche uno specchio della città, capace di tenere insieme sofferenza e festa, ironia e appartenenza, memoria e fame di futuro. Per i granata, è il derby che “ha fatto più sgolare” una generazione intera: l’urlo liberatorio di un popolo che si è sentito, per una sera, invincibile.

Gli archivi registrano i nomi: Rizzato e Castaldo per l’avvio biancoverde; Radunović tra i pali granata, Radu dall’altra parte; Krešić e Laverone per lo strappo dei padroni di casa; Vitale a squarciare l’aria su punizione; la panchina di Bollini a muovere le pedine con Rosina; Rodriguez ad accorciare, Sprocati a pareggiare, Bocalon a sfiorare, Minala a scrivere la parola eterna. Gli archivi raccontano i fatti, il tifo conserva i brividi. È lì che Avellino–Salernitana 2-3 vive ancora, in quella terra di mezzo dove il calcio smette di essere cronaca e diventa patrimonio emotivo.

Oggi, nel silenzio di un giorno d’autunno, è giusto tornare a quel boato. Non per restare ancorati al passato, ma per ricordarsi che certi simboli tengono insieme una comunità. Il 15 ottobre 2017 è uno di questi: la firma di Minala, il passo di Sprocati, il graffio di Rodriguez, la mano ferma di Radunović, l’istinto di Radu, l’idea di Bollini. E, sopra tutto, il coro di un settore ospiti che per una notte — anzi, per sempre — ha avuto la voce di tutta Salerno.